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Nel nostro studio è arrivato un nuovo elemento d’arredo: uno sgabello di design, molto particolare. Appena entriamo, io e Gea lo guardiamo con curiosità. È disteso, immobile, con una lampada tra le gambe, perfettamente integrato nell’ambiente. “Vediamo un po’ com’è questo nuovo sgabello che abbiamo comprato” diciamo ridendo. “Chissà se è comodo. Magari utile per accogliere gli ospiti”. Iniziamo a provarlo: ci sediamo su di lui, in varie posizioni, testando il peso, l’equilibrio, la stabilità. Lo usiamo proprio come una panca, parlando tra noi di dove potremmo sistemarlo. A un certo punto ci viene un’idea: potremmo metterlo all’ingresso e usarlo per cambiarci le scarpe. Gea va a prendere due paia di stivali: uno per me, uno per lei. Torniamo e restiamo ancora sedute, appoggiandoci su di lui, mentre ci cambiamo lentamente le scarpe. Lui è sempre lì, sotto il nostro peso: sul ventre, sulle gambe, e vicino al viso, abbastanza da sentire ogni nostro movimento. È silenzioso, perfettamente adatto al suo ruolo. E alla fine, ci guardiamo e decidiamo: “Direi che lo prendiamo”. Ce ne andiamo con calma, lasciandolo lì, al suo posto. Immobile. Utile. Esattamente come deve essere.

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A new piece of furniture has arrived in our studio: a very particular design object. As soon as we walk in, Gea and I look at it with curiosity. He’s lying there, c*mpletely still, with a lamp positioned between his legs perfectly integrated into the space. “Let’s see how this new stool we bought works” we say, amused. “Who knows if it’s comfortable, maybe useful for welcoming guests.” We start testing it: we sit on him in various positions, checking weight, balance, stability. We use him just like a bench, chatting between us about where we might place him. At some point, we come up with an idea: we could place him near the entrance and use him to change our shoes. Gea goes to get two pairs of boots, one for her, one for me. We sit again, resting on him, and slowly change our shoes. All the while, he stays beneath us, bearing our full weight: across his stomach, his legs, and close to his face, close enough to feel everything. He stays silent. Still. Perfectly suited to his role. In the end, we look at each other and decide: “Yes, we’ll take it.” We walk away calmly, leaving him there, in place. Still. Useful. Exactly how he should be.

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