ITALIAN/ENGLISH SPEAKING.

My friend and I have been sitting on the couch for hours, sunk into the soft cushions, the room’s air growing heavy as time drags on. Outside, it’s dark, a lazy calm wrapping around us as we chat idly, legs crossed, feet dangling slightly. At our feet, on the rough rug, lies a sl*ve, naked, his pale skin bare with nothing to cover it, his thin body stretched out like a silent offering. He’s been with us all day, still, a shadow awaiting our whims, and we’ve barely noticed him, lost in our chatter and lounging. After so long sitting, the urge creeps in, a slow but persistent need. Our full bladders nag at us, but the bathroom’s far—across the house, too many rooms to cross for a day this relaxed. We lock eyes, a sly grin slipping out without a word. “Why get up?” her look seems to say, and I nod, already amused by the idea forming. “Come here,” I tell him, voice calm but firm, pointing to the floor beneath us. He crawls across the rug, his naked body moving slowly until he lies flat on his back, head near the couch’s edge, eyes down, avoiding ours. I stand first, with a lazy motion, positioning myself over him, legs apart as I slide my panties aside with two fingers. My friend watches, one eyebrow raised, a smirk curling her lips, muttering, “You start,” with a soft chuckle. Then I let go: a warm, steady stream rains down on his bare chest, runs over his stomach, soaks his thighs, his skin prickling under the flow. The sharp, sour smell rises fast, cutting through the stale air, but we don’t care—it’s our game, our laziness winning out. When I’m done, I sit back, adjusting myself casually, and she rises. “My turn,” she says, stepping over him with the same ease. Her stream h*ts his face, wets his sparse hair, drips down his neck and shoulders, making him squint as rivulets pool on the rug below. She laughs quietly as she goes, and I join in, our amusement growing as we turn him into our human latrine. We cover him like this, taking turns, his naked skin now a patchwork of wet streaks, glistening faintly in the dim lamplight. “Stay there,” I order when we’re done, voice sharp, settling back on the couch. He doesn’t budge, lying soaked, the p*ss drying slowly on his skin, forming a sticky film that starts to reek—a harsh, acrid stench filling the room. We glance at him now and then, his discomfort pulling a smile from us, his drenched nudity a trophy of our idleness. We stay put, lazy queens, chatting softly, as the smell grows overpowering, pleased we didn’t move an inch. Io e la mia amica siamo sedute sul divano da ore, sprofondate nei cuscini morbidi, l’aria della stanza che si fa pesante col passare del tempo. Fuori è buio, una calma pigra che ci avvolge mentre chiacchieriamo svogliate, le gambe accavallate e i piedi che dondolano appena. Ai nostri piedi, sul tappeto ruvido, c’è uno schiavo, nudo, la sua pelle chiara esposta senza nulla a coprirla, il corpo magro steso lì come un’offerta silenziosa. È con noi da tutto il giorno, immobile, un’ombra che aspetta i nostri capricci, e finora lo abbiamo quasi ignorato, prese dalle nostre chiacchiere e dal dolce far niente. Dopo tanto tempo sedute, lo stimolo arriva, un bisogno che cresce lento ma insistente. La vescica piena ci ricorda che il bagno è lontano—dall’altra parte della casa, troppe stanze da attraversare per una giornata così tranquilla. Ci guardiamo, un sorrisetto furbo che ci scappa senza bisogno di dirci nulla. “Perché alzarsi?” sembra suggerire il suo sguardo, e io annuisco, già divertita dall’idea che ci balena in testa. “Vieni qui,” gli dico con voce calma ma decisa, indicando il pavimento sotto di noi. Lui striscia sul tappeto, il corpo nudo che si muove lento fino a sdraiarsi supino, la testa vicina al bordo del divano, gli occhi bassi che non osano incrociare i nostri. Mi alzo per prima, con un gesto rilassato, e mi posiziono sopra di lui, divaricando le gambe mentre scosto le mutandine con due dita. La mia amica mi osserva, un sopracciglio alzato e un sorrisetto che le increspa le labbra, mormorando un “Comincia tu” con una risatina leggera. P*i lascio andare: un getto caldo e continuo gli piove sul petto nudo, scorre lungo lo stomaco, gli bagna le cosce, la pelle che si increspa sotto il flusso. L’odore acre si alza subito, pungente nell’aria ferma della stanza, ma non ci dà fastidio—è il nostro gioco, la nostra pigrizia che vince. Finito, mi risiedo, sistemandomi con calma, e lei si alza. “Mia volta,” d*ce, piazzandosi sopra di lui con la stessa noncuranza. Il suo getto gli colpisce il viso, gli bagna i capelli radi, gli cola sul collo e sulle spalle, facendolo strizzare gli occhi mentre rivoli scendono sul tappeto sotto. Ride piano mentre lo fa, e io mi unisco, il nostro divertimento che cresce nel vederlo trasformarsi nella nostra latrina umana. Lo ricopriamo così, a turno, la sua pelle nuda che diventa una tela di chiazze umide, lucida sotto la luce fioca della lampada. “Stai lì,” gli ordino quando abbiamo finito, la voce ferma, tornando a sedermi comoda sul divano. Lui resta sdraiato, il corpo zuppo, la p*pì che gli si asciuga lentamente sulla pelle, formando una crosta appiccicosa che puzza sempre di più—un tanfo acido e forte che invade la stanza. Lo guardiamo ogni tanto, il suo disagio che ci strappa un sorriso, la sua nudità fradicia che diventa un trofeo della nostra pigrizia. Restiamo lì, regine rilassate, chiacchierando piano, mentre l’odore si fa insopportabile, soddisfatte di non esserci mosse.

LUDOVICA LUXURY -HUGE GOLDEN SHOWER -hd