ENGLISH SPEAKING.

The room was bathed in soft, golden light, a warm glow that slipped through the half-open curtains, tinging the air with a languid atmosphere as the day slowly faded. My friend Mistress and I, both irresistible in our own ways, had sunk into the bl*e sofa, an island of softness that enveloped us after an exhausting day. My look was a leopard explosion: a tight catsuit that hugged me like a second skin, the spotted pattern catching every reflection with a savage ferocity, and a pair of matching pumps, the talon-like heels that sparkled with every move. She, beside me, exuded a dark, magnetic elegance, a presence that commanded without words. We had just returned from a photo sh*ot, our bodies exhausted but still filled with residual energy, and we were relaxing with light conversation, our voices overlapping with tired laughter as our muscles surrendered to the pillows.
BetwIn a laugh and a comment on the sh*t, my gaze fell on my leopard-print pumps. The day's wear had accumulated on the soles and the printed leather, dampening their pride, and my feet, trapped for hours, were dust soaked in sweat, throbbing with a heat that demanded respite. "Look at this gross," I said with a grimace, holding up a shoe to show it to my friend. She studied me for a moment, then a slow, wicked smile curled her lips, a lamp of mischief that lit up her gaze. "No problem," she replied in a calm, almost amused voice. “ We have the Piggie Girl."

The name struck me as an unexpected joke, igniting a mixture of curiosity and amusement. “Pig girl?” I repeated, chuckling, as she nodded with a pleased expression. “My s*ssy maid. I named her that because of her... heavy weight. You’ll see. With an elegant wave of his hand, he called her name, and in a few moments there she was, an apparition that seemed almost caricatured. She was a l*ttle overweight, a round, awkward figure who moved with a certain hesitation, but the nickname fit her perfectly, like a custom-made label. It wasn’t her looks that interested me, though – what mattered was how useful she could be when two pairs of dirty shoes and two pairs of sweaty feet clamored for attention after a day of non-stop work.
She approached with an awkward bow, and we, stretched out on the bl*e sofa like queens at the end of a long battle, indicated our will with regal nonchalance. “Shoes first,” I said, stretching out a leg with the indolent grace of a feline, the leopard print glistening in the light. “And then the feet. They’re a mess.” She knelt without a word, and instead of producing a rag, she leaned toward my pumps, her tongue sticking out shyly but firmly. With slow movements, she began to l*ck the soles of my shoes, the dust and dirt disappearing under her wet touch, leaving the spotted skin shiny and fierce as new. The sensation of her work was strange, and the light sound of her tongue against the soles made me smile in amusement. My friend, watching, handed her her shoes with a lazy gesture, and Piggie Girl moved on, l*cking the soles with equal care, her face flushed with effort and a humility that made us snicker.
Then it was the feet's turn. I slipped off my pumps, freeing my hot, sweaty feet, and watched her bend down again, without hesitation. With her tongue, she began to l*ck the sweat from the soles of my feet, a warm, moist contact that eased the heat of the day, carefully running between my toes and along each curve. It was a servile, almost devout gesture, and I gave myself over to the pleasure of the act, giggling softly as my friend, sighing with relief, removed her shoes and let Piggie Girl do the same to her. Her tongue slid over her skin with a ritual slowness, wiping away the sweat and bringing a cool relief that made us sigh in unison. I had to admit: that “l*ttle pig” was good, much better than I expected, and her commitment transformed the service into a luxury that pampered us, our laughter filling the room like a triumphant soundtrack.

“Not bad,” I said at last, exchanging a glance with my friend. She nodded, a satisfied smile on her lips. “She earned a prize, didn’t she?” she said, and my grin widened. “Oh, yes.” We nodded to Piggie Girl to fetch two strapons hidden in a special drawer, tools that promised to make our fun even more daring. She stood up, a l*ttle uncertain, perhaps sensing what was about to happen, and returned with the objects in her hands, her face betraying a mixture of fear and anticipation. “Now that's really hard for you,” I said, laughing, as we got up from the bl*e sofa, ready to transform that moment of relaxation into a much more intense and unforgettable game.

La stanza era avvolta da una luce tenue e dorata, un bagliore caldo che scivolava attraverso le tende socchiuse, tingendo l’aria di un’atmosfera languida mentre il giorno si spegneva piano. Io e la mia amica Mistress, entrambe irresistibili a modo nostro, ci eravamo lasciate cadere sul divano blu, un’isola di morbidezza che ci avvolgeva dopo una giornata estenuante. Il mio look era un’esplosione leopardata: una tutina aderente che mi fasciava come una seconda pelle, il motivo maculato che catturava ogni riflesso con una ferocia selvaggia, e un paio di décolleté abbinate, i tacchi affilati come artigli che scintillavano con ogni movimento. Lei, al mio fianco, emanava un’eleganza oscura e magnetica, una presenza che dominava senza bisogno di parole. Eravamo appena rientrate da uno sh*oting fotografico, i corpi sfiniti ma ancora percorsi da un’energia residua, e ci rilassavamo scambiandoci chiacchiere leggere, le voci che si sovrapponevano a risate stanche mentre i muscoli si abbandonavano ai cuscini. Tra una risata e un commento sullo sh*oting, il mio sguardo si posò sulle mie décolleté leopardate. La polvere della giornata si era accumulata sulle suole e sulla pelle stampata, smorzando la loro fierezza, e i miei piedi, intrappolati per ore, erano madidi di sudore, pulsanti di un calore che chiedeva tregua. “Guarda che schifo,” dissi con una smorfia, sollevando una scarpa per mostrarla alla mia amica. Lei mi osservò per un attimo, p*i un sorriso lento e perfido le increspò le labbra, un lampo di malizia che le accese lo sguardo. “Non c’è problema,” rispose con voce calma, quasi divertita. “Abbiamo Piggie Girl.” Il nome mi colpì come una battuta inaspettata, accendendo un misto di curiosità e divertimento. “Piggie Girl?” ripetei, ridacchiando, mentre lei annuiva con un’espressione compiaciuta. “La mia s*ssy maid. L’ho chiamata così per il suo... peso abbondante. Vedrai.” Con un gesto elegante della mano, la chiamò, e in pochi istanti eccola lì, un’apparizione che sembrava quasi caricaturale. Era un po’ sovrappeso, una figura tonda e goffa che si muoveva con una certa esitazione, ma il soprannome le si adattava alla perfezione, come un’etichetta cucita su misura. Non era il suo aspetto a interessarmi, però – ciò che contava era quanto potesse dimostrarsi utile davanti a due paia di scarpe sporche e due paia di piedi sudati che reclamavano attenzione dopo una giornata senza sosta. Si avvicinò con un inchino impacciato, e noi, sdraiate sul divano blu come Regine al termine di una lunga battaglia, le indicammo il nostro volere con una noncuranza regale. “Le scarpe per prime,” dissi, allungando una gamba con la grazia indolente di un felino, il leopardato che brillava sotto la luce. “E p*i i piedi. Sono un disastro.” Lei si inginocchiò senza fiatare, e invece di tirar fuori uno straccio, si chinò verso le mie décolleté, la lingua che sporgeva timida ma decisa. Con movimenti lenti, iniziò a leccare la suola delle mie scarpe, la polvere e la sporcizia che sparivano sotto il suo tocco umido, lasciando la pelle maculata lucida e feroce come nuova. La sensazione del suo lavoro era strana, e il suono leggero della sua lingua contro la suola mi strappò un sorriso divertito. La mia amica, osservandola, le porse le sue scarpe con un gesto pigro, e Piggie Girl passò a lei, leccando le suole con la stessa cura, il viso arrossato dallo sforzo e da un’umiltà che ci fece ghignare. P*i fu il turno dei piedi. Mi sfilai le décolleté, liberando i piedi accaldati e sudati, e la guardai chinarsi di nuovo, senza esitazione. Con la lingua, iniziò a leccare il sudore dalle piante dei miei piedi, un contatto caldo e umido che alleviava il calore della giornata, passando con attenzione tra le dita e lungo ogni curva. Era un gesto servile, quasi devoto, e io mi abbandonai al piacere di quell’atto, ridacchiando piano mentre la mia amica, sospirando di sollievo, si tolse le sue scarpe e lasciò che Piggie Girl facesse lo stesso con lei. La lingua scivolava sulla sua pelle con una lentezza rituale, pulendo via il sudore e portando un fresco sollievo che ci f fec sospirare in coro. Dovevo ammetterlo: quella “porcellina” era brava, molto più di quanto mi aspettassi, e il suo impegno trasformava quel servizio in un lusso che ci coccolava, le nostre risate che riempivano la stanza come un sottofondo di trionfo. “Non m*le,” dissi alla fine, scambiando un’occhiata con la mia amica. Lei annuì, un sorriso soddisfatto sulle labbra. “Si è guadagnata un premio, no?” disse, e il mio ghigno si allargò. “Oh, sì.” Con un cenno, indicammo a Piggie Girl di andare a prendere due strapon nascosti in un cassetto speciale, strumenti che promettevano di rendere il nostro divertimento ancora più audace. Lei si alzò, un po’ incerta, forse intuendo cosa stava per succedere, e tornò con gli oggetti in mano, il viso che tradiva un misto di timore e attesa. “Ora sì che sono cazzi amari per te,” dissi ridendo, mentre ci alzavamo dal divano blu, pronte a trasformare quel momento di relax in un gioco ben più intenso e indimenticabile.

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